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La cucina che condivide

Scritto da Giancarmine Nolè il .
Pubblicato in: comunicazione

Mi capita di frequentare spesso le cucine di ristoranti per lavoro e talvolta, lo confesso, mi sento l’eletto autorizzato con accesso alle questioni di ristorazione direttamente fra pentole e fornelli.

Alla distanza di un forchettone l’osservazione si rivela in tutta la sua crudezza – o cottura se volete – sei ad un palmo da tutto, puoi catturare immagini e raccogliere le confessioni segrete del “Maestro di cucina” mentre è intento nella sua opera. Soprattutto, se ti concentri con attenzione, riesci a cogliere persino la scintilla creativa che ha ispirato la visione di quella portata prima di entrare in scena.

Una osservazione così ravvicinata ispira curiosità e domande, forse per una certa affinità creativa, su quali principi ci siano alla base della creazione di una ricetta. Quale lampadina si accende nella testa di quel visionario appassionato di sapori e profumi da averlo accompagnato per mano dopo mille revisioni al piatto che voleva presentare.

Prima di qualunque domanda una certezza è indiscutibile: i Maestri della cucina prima che cuochi sono persone ispirate essenzialmente dall’amore per la condivisione.

Condividere e cucinare sono gesti che riempiono la cucina di profumi, che portano indietro nel tempo ai ricordi dell’infanzia, alla gioia di vedere gente felice intorno ad un tavolo, all’atto di spezzare il pane e mangiarlo insieme, al mettersi davanti ai fornelli condividendo consigli ed esperienze di preparazione e di vita.

La cucina diventa così un atto d’amore da vivere e da condividere perché uno chef non è soltanto un freddo esecutore, ha idee ed emozioni che esprime mentre lavora, che manifesta con il suo lavoro.

E allora accade che in una delle tante invasioni nella cucina dello Chef Francesco Lorusso – ristorante Bramea a Palazzo San Gervasio – appare come per magia un classico storico: la forchetta dai rebbi allargati.

Quante volte sarà capitato di vederla nella cucina e sulle tavole dei nonni. È il simbolo di un’Italia che ha sofferto, un vero strumento di sopravvivenza che consentiva a chi la adoperava di assicurarsi più cibo possibile.

La forchetta dai denti allargati racconta la semplicità dei nostri nonni, la durezza di quegli anni da osservare con rispetto oggi che abbiamo così tanta disponibilità di cibo da rischiare di non percepirne più la fortuna e il suo vero valore.

Quelle generazioni hanno vissuto il tempo in cui anche un pezzo di pane con un po’ di olio rappresentava un piatto importante utile a saziarsi.

E soprattutto davano un senso importante alla parola condivisione in un tempo in cui non esistevano i piatti per tutti i commensali. Il piatto era uno solo, grande al centro della tavola e per tutti. E la tua forchetta dai rebbi larghi era uno strumento indispensabile per assicurarti la cena più abbondante che fosse possibile.

Ecco che il concetto di condivisione assume oggi tutto un altro significato e dovrebbe farci riflettere e lo dico a chi come me utilizza tutti i giorni parole per comunicare ma in generale a chiunque perché tutti comunichiamo con le parole.

Condividere è “dividere con qualcuno” (con-dividere). Marco Balzano nel suo testo “Le parole sono importanti” fa notare come “la condivisione oggi utilizzata nel web è in realtà una moltiplicazione che non fa i conti con nessuna sottrazione” e che di fatto “per condividere nel web non abbiamo bisogno di nessuno, nemmeno di chiedere il permesso ai destinatari”.

Però questa condivisione senza parti mi rende infelice come comunicatore che ascolta, pensa, elabora e cerca di mandare messaggi per i quali auspica un ritorno.

E allora ritorno col pensiero a Francesco con la sua forchetta dai rebbi larghi come antenne che lanciano segnali di condivisione partecipata in cui ognuno possa esprimere una socialità che torni ad essere la dimensione per procedere insieme, pur attraverso lo strumento virtuale, senza dimenticare che siamo reali come gli amici felici intorno alla tavola indietro nei ricordi dell’infanzia.